giovedì, maggio 18, 2006

verso la perdita dell'autonomia professionale

In tutti i sistemi complessi la sicurezza si basa sulle barriere erette al rischio con la perdita dell'autonomia dei professionisti, sarà così anche in Ospedale?


da:
Il Sole 24 ore Sanità, 28/2-6/3 2006 Speciale.

«Ma la colpa non è (quasi) mai
del singolo professionista»

(di Guido Marcon * )

Il 90% degli errori
dipende dal sistema.

Il problema degli incidenti e dei danni derivanti dalle cure si sta ponendo come uno dei grandi problemi della medicina a livello internazionale. L’attuale percezione del problema degli incidenti causati dalle cure mediche evoca nel pubblico e nei professionisti sanitari una serie di emozioni che vanno dall’incredulità allo stupore e alla richiesta che il problema degli incidenti venga risolto alla radice.
È ormai sempre più invalsa la tendenza a “dare la caccia” al colpevole e da più parti si chiedono a gran voce punizioni esemplari per i responsabili degli errori medici e dei relativi danni.
Nella percezione comune (e non solo tra il pubblico ma anche tra i professionisti sanitari e nel sistema giudiziario) si crede che sia stata una o più persone identificabili a causare materialmente il danno. Ma questa visione, purtroppo semplicistica, non tiene conto che, nelle organizzazioni complesse come quella sanitaria, la responsabilità del danno non è che in minima parte ascrivibile a una sola persona.
Questa affermazione può anche stupire, ma è quasi sempre vera: di fatto l’analisi degli incidenti che avvengono nelle attività complesse (come Sanità, industria chimica, aviazione civile, trasporti ferroviari, centrali nucleari), basate sulla collaborazione tra più persone, dimostra certamente che una o più persone hanno causato il danno. E le responsabilità personali sono solo un elemento della genesi del danno, in quanto la maggiore responsabilità della catena di eventi che hanno causato il danno sta molto più in alto e va ricercata nel sistema.
Le cause degli incidenti infatti sono immediate e latenti: le prime si riferiscono ad azioni errate commesse da una o più persone, le seconde alle condizioni di lavoro nelle quali le persone operano.
Gli studi condotti da James Reason sugli incidenti nelle organizzazioni complesse hanno messo in luce che esiste certamente un individuo (o talvolta più individui) che materialmente ha causato il danno, ma che questo individuo (o questi individui) è stato messo nelle condizioni di creare un danno a causa del contesto in cui stava operando.
In altre parole il danno è l’effetto per il 10% degli individui e per il 90% dell’organizzazione.
Le nuove teorie del clinical risk management.
Sono emerse recentemente due nuove linee di pensiero relative alla prevenzione del rischio clinico. La prima si deve a J.S.
Spear, studioso statunitense di organizzazioni complesse, che ha come obiettivo la ricerca del miglioramento della qualità delle cure mediche mediante la risoluzione delle “ambiguità” nella fornitura delle cure e del servizio.
Secondo Spear l’ospedale non è organizzato intorno al paziente, ma in base alle diverse responsabilità e funzioni operative, che spesso non sono collegate tra di loro. Alla domanda «perché, nonostante i grandi avanzamenti della medicina, non si riescono a ridurre i difetti nella fornitura delle cure?», Spear risponde: la complessità del sistema sanitario crea un grave divario tra la competenza delle persone e la performance globale del sistema, causato da una serie di cause imputabili al sistema piuttosto che alle singole persone. Il sistema di fornitura delle cure è ricco di ambiguità (si pensi alle opinioni discordanti dei professionisti su un caso clinico).
Una seconda visione è quella di René Amalberti, uno studioso francese che ha ribaltato la rappresentazione del problema dei rischi e degli incidenti derivanti dalle cure. Per rendere la medicina un’attività sicura, dice Amalberti, è necessario riflettere attentamente sul fatto che alcune tradizioni radicate e consacrate dal tempo (come l’autonomia professionale) non solo non sono scolpite nella pietra, ma possono anche costituire un grosso ostacolo all’innovazione e al miglioramento delle modalità di prestazione delle cure. La persistenza di queste tradizioni ormai datate costituisce una barriera alla sicurezza dei pazienti (si veda Il Sole-24 Ore Sanità n. 40/2005).
I successi ottenuti nel miglioramento della sicurezza da parte dalle attività ad alto rischio (centrali nucleari, industria chimica, aviazione civile) sono stati resi possibili dall’abbattimento delle barriere alla sicurezza e dall’innalzamento di barriere al rischio, costituite dall’eliminazione di alcuni ostacoli strutturali capaci di impedire il progresso verso la sicurezza delle attività stesse. In sostanza, secondo Amalberti, è necessario identificare e rimuovere le barriere alla sicurezza (costituite da tutte le decisioni
o attività che mettono a rischio la sicurezza del paziente) e innalzare invece le barriere al rischio.

* Direttore Uo Lungodegenza
Ulss 13 Mirano (Veneto)
Professore a. c. di management clinico
Università di Padova
Risk manager clinico

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